Leggendo questa frase immaginate di capitare in Valpolicella, alla scoperta della terra del vino, e di svoltare a un certo punto in un viale alberato, seguendo le indicazioni di un cartello che recita “Villa Santa Sofia”.
In fondo alla strada, un piccolo spiazzo dove lasciare l’auto, alcune botti e una porticina sotto la grande insegna in ferro battuto “Cantine Santa Sofia”.
Avvicinatevi e suonate il campanello, qualcuno viene ad aprirvi ed entrate in una singolare sala degustazione: ai muri sono affissi premi incorniciati e foto suggestive di grappoli d’uva in appassimento, di grandi botti di legno e di barrique.
Fermatevi a osservare il camino, su cui vedete esposte bottiglie antiche, di annate diverse, alcune dalla forma un po’ curiosa, alcune dall’etichetta scritta a mano, tutte ricoperte da un leggero strato di polvere a darvi l’impressione che siano lì da molto tempo.
Sbirciate fuori dalla finestra scostando la tendina e iniziate a scorgere un colonnato di una bellissima e imponente villa rinascimentale. In un piccolo libro accanto alla finestra riuscite a leggere:
Aperto sull’antico tavolo in legno al centro della stanza, un grosso volume rilegato attira l’attenzione:
Ormai vi è chiaro di essere capitati in un posto speciale. E di certo ora vorrete saperne di più.
Le cantine di Santa Sofia sono nella parte sottostante e a lato di Villa Santa Sofia, in passato conosciuta come Villa Serego. Iniziata nel 1560 su disegno di Andrea Palladio, la villa fu costruita su commissione di Marcantonio Serego, nobiluomo molto stimato e sposato a Ginevra Alighieri, anche se il grandioso progetto venne in realtà compiuto solo in piccola parte e ciò che si può vedere oggi è circa un terzo del disegno originale di Palladio.
I diversi locali che compongono le cantine risalgono a tre epoche storiche differenti.
La parte più antica è stata costruita nel 1300 d.C. per opera dei frati di San Bernardino, risiedenti nella Chiesa dedicata a Santa Sofia – che si trova appena fuori le mura perimetrali della tenuta, nata in un periodo antecedente la costruzione della villa e divenuta poi cappella della stessa – ed è stata realizzata in tufo, pietra estratta dalle cave locali, utilizzata anche per costruire il maestoso colonnato della villa gentilizia di Palladio. E’ qui che sono custodite le botti grandi in rovere di Slavonia, nelle quali maturano alcuni dei vini rossi più importanti: Amarone, Valpolicella Superiore Montegradella, Arlèo, Predaia, Valpolicella Ripasso.
Attigua alla parte del XIV secolo si trova la cantina di costruzione più recente risalente al 1700 d.C., con i volti realizzati in mattone. In questo locale ci sono i serbatoi d’acciaio, in cui maturano i vini più giovani e freschi: Bardolino, Bardolino Chiaretto, Soave, Lugana, Custoza, Pinot Grigio, Merlot Corvina.
Al di sotto della villa palladiana invece si trovano le cantine del XVI secolo – costruite assieme alla villa e adibite già allora alla conservazione del vino – dove sono state poste le barrique, botti in rovere di Allier da 225 litri, per la maturazione della riserva di Amarone Gioè, i vini Arlèo, Predaia, Valpolicella Superiore Montegradella, Recioto della Valpolicella, Recioto di Soave.
Sotto la villa è collocata anche una spaziosa bottiglieria, che risale anch’essa al 1500 d.C. e che può contenere fino a 80.000 bottiglie. Qui riposano i vini che richiedono un affinamento più lungo prima di essere posti sul mercato: Amarone, Valpolicella Superiore Montegradella, Arlèo, Predaia, Recioto della Valpolicella, Recioto di Soave.
Fu lo spirito dell’irrequietezza a spingere Andrea di Pietro della Gondola,
di professione scalpellino e figlio di un mugnaio, a diventare architetto.
Dal semplice diletto e da una naturale inclinazione, Andrea passò
allo studio del più famoso architetto della Roma augustea, Vitruvio,
e proprio a Roma poté aprire la mente, applicarsi con tecnica
ed arrivare agli ambiziosi risultati che si rivelano ancora oggi ai nostri occhi.
Di lui scrive il nobile vicentino Giangiorgio Trissino
“allievo della dea greca dell’intelligenza e dell’industriosità umana”
e gli impose così il nome di Palladio, personaggio di un suo poema.
Protagonista di una vera e propria furia di rinnovamento dell’architettura quattrocentesca,
Andrea Palladio iniziò con le prime commissioni da parte dell’aristocrazia vicentina,
per poi crescere in territorio berico e infine veneziano,
dove progettava in terraferma magnifiche ville al centro di vaste estensioni agricole:
splendido scenario di una imprenditorialità veneta che fioriva.
Nel Cinquecento si assiste quindi in Veneto ad una silenziosa ma meravigliosa rivoluzione.
Dopo un secolo di pace sotto il dominio della Serenissima,
la nobiltà locale indirizzava finalmente le proprie risorse
verso investimenti in proprietà terriere, abbandonando lo spirito belligerante
che l’aveva fino quel momento contraddistinta.
Vennero introdotte nuove colture, si intensificarono le esistenti,
facendo crescere la necessità di opere rurali importanti.
La dimora è al centro della proprietà, il portico della villa si affaccia alla campagna,
ne raccoglie luce e aria, e la villa diventa così fattoria,
riparo per carri ed attrezzi, abitazione di fattori, magazzino di prodotti,
ma anche simbolo della dignità del proprietario,
preziosa rappresentazione di una florida ricchezza e di una gloriosa civiltà.
La natura incontra l’arte e dalla stessa arte si fa accogliere e valorizzare, tra squisitezza e funzionalità,
poesia e tecnica, nel rispetto autentico del paesaggio.
In questo stesso spirito nasce il connubio tra vino e arte, che ha origine da un’irrequietezza
che da sempre muove l’iniziativa dell’imprenditore.
Sul filo di un’ispirazione, di una storia antica, la famiglia Begnoni con Santa Sofia
si fa promotrice di diverse iniziative, quale “custode” privilegiato di un luogo di indiscussa bellezza: Villa Serego a Santa Sofia.